UNIMRI - Unione Nazionale Insigniti Ordine al Merito della Repubblica Italiana
Enrico TOTI
di Andrea CIONCI
«Le giuro che ho del fegato e qualunque impresa, la più difficile che mi venisse ordinata, la eseguirei senza indugio». Così scriveva Enrico Toti implorando S.A.R. il Duca d’Aosta di essere mandato al fronte nonostante il fatto che, otto anni prima, avesse perso una gamba in un incidente sul lavoro. Ottenne questo privilegio solo dopo grandi fatiche, per mettere al servizio del bene collettivo il suo spirito indomito. Uno dei più famosi personaggi della Grande Guerra moriva esattamente cento anni fa, il 6 agosto 1916, a quota 85, presso Monfalcone.
Già ferito da due pallottole, rimasto a corto di bombe a mano e di munizioni, lanciò la stampella contro il nemico. «Nun moro io!» sfidò gli Austriaci, in romanesco, prima di cadere, colpito da un terzo proiettile. Spirò baciando il piumetto da bersagliere, come riporta la motivazione della Medaglia d’oro al Valor militare concessagli, alla memoria, da Vittorio Emanuele III.
Nato nel 1882, appena quattordicenne, si era arruolato nella Regia Marina, prima come mozzo specialista e poi come elettricista scelto. In quegli anni, ebbe il battesimo del fuoco nei conflitti navali con i pirati che infestavano le coste dell’Eritrea. Nel 1907 fu assunto nel servizio ferroviario come fuochista. L’anno dopo, mentre lavorava fra due locomotive presso la stazione di Colleferro, a causa dello spostamento delle due macchine, Toti scivolò rimanendo con la gamba sinistra sotto le ruote. Subito portato in ospedale, l’arto gli fu amputato a livello del bacino.
Non cedette alla disperazione, tutt’altro. Forte della sua esperienza come ciclista, divenne il primo atleta “paralimpico” e, nel 1911, intraprese, con una bicicletta dotata di un pedale unico, da lui stesso modificata, il giro del mondo. Passando prima per Francia e Belgio, raggiunse l’Europa settentrionale, la Norvegia, fino alla Lapponia dove, bloccato dal ghiaccio, convisse con gli esquimesi per qualche mese.
Arrivato a Mosca, ridiscese in Italia passando per la Polonia e l'Austria.
Toti non aveva solo un corpo atletico, totalmente sotto il suo dominio, ma anche un’intelligenza vulcanica e creativa. Come inventore brevettò diversi congegni per la vita quotidiana. Fra questi, una benda di sicurezza che calava automaticamente sugli occhi di un cavallo imbizzarrito, tranquillizzandolo immediatamente. Fu anche imprenditore: al ritorno dall’Africa, aprì una falegnameria con dieci dipendenti, che gli procurò una vita agiata e tranquilla. Nel ‘15, l’entrata in guerra dell’Italia gli fece sentire il peso della sua disabilità: non poteva tollerare di rimanere a casa mentre sul fronte avrebbe potuto rendersi utile. Le sue domande di arruolamento vennero regolarmente respinte, a causa della sua menomazione. Ma se la locomotiva che gli maciullò la gamba non aveva potuto fermarlo, difficilmente lo avrebbe potuto ostacolare la burocrazia. Vestì l’uniforme di sua iniziativa, senza stellette, e partì per il fronte.
Diceva ai suoi parenti: «Mi raccomanderò tanto finché dovranno far combattere anche me; mi sento con tanta forza e tanta energia che mi parrebbe una viltà rimanere inoperoso, mentre lassù posso essere utile anch’io».
A piangerlo, la sorella e il cognato che, per motu proprio del Re, poté anteporre al proprio cognome quello del caduto. Legittima discendente di Enrico e presidente dell’associazione a lui dedicata è, oggi, il soprano Claudia Toti-Lombardozzi che spiega: «Nelle sue lettere alla famiglia, non si legge nemmeno una volta un accenno di autocommiserazione. E’ stato un eroe di vita, soprattutto, il cui esempio, nella sublimazione della propria disabilità e nei valori universali di amor patrio e abnegazione verso il prossimo, dovrebbe essere reso noto soprattutto ai ragazzi, attualmente così privi di figure di riferimento».